La prateria, un luogo di residenza per gli esemplari femmina

La presenza umana e l’attività agricola sono molto antiche nelle Alpi Marittime (risalgono probabilmente a 6 000 – 8 000 anni fa). Con l’arrivo delle prime popolazioni di agricoltori (rivoluzione neolitica) provenienti dalla Mezzaluna fertile, i paesaggi si trasformano. Le prime zone coltivate sono le radure. Nel corso degli anni queste si ingrandiscono, e le foreste retrocedono sempre più verso il nord e l’est dell’Europa attuale.

Le praterie della Riserva erano coltivate fino al 2003. Costituite da campi di foraggio d’altitudine, la loro composizione vegetale era ridotta a due specie : la dattile glomerata e l’erba medica. Interessanti per il bestiame, queste specie si sono rivelate pericolose per la fauna selvaggia, in particolare il bisonte, poiché possono provocare episodi di meteorismo (fermentazione nello stomaco) talvolti mortali.

Poco a poco, i prati si sono trasformati per effetto di un doppio processo avviato da bisonti, cavalli selvatici, cinghiali e, in minima parte, cervi :

  • la zoocoria (dispersione dei semi o dei frutti delle piante a opera di animali),
  • l’arricchimento microbico dei suoli.

I grandi erbivori hanno un comportamento alimentare molto sorprendente. Contrariamente ai loro cugini animali domestici, sono in grado di consumare tutte (o quasi) le specie di piante, che siano appetitose o meno. Di conseguenza, percorrono l’intero territorio in cerca di cibo, consumando in un certo luogo una pianta della quale disperderanno altrove i semi, dopo averli trasportati sul loro pelame (epizoocoria) oppure tramite lo sterco e gli escrementi (endozoocoria). Risultato : una varietà di 42 piante erbacee, soprattutto graminacee e leguminose selvatiche, ha preso il posto delle 2 sole piante coltivate prima dell’arrivo dei nostri maestri giardinieri !

I grandi erbivori selvaggi possiedono peraltro una flora digestiva « ancestrale » capace di digerire le piante più rustiche (festuca falascona, paleo silvestre, carice…).

Questa flora digestiva, eliminata nello sterco, possiede la particolarità di svilupparsi nei suoli impoveriti dai metodi di coltura brutali (meccanizzazione, fertilizzanti chimici, pesticidi…). La flora digestiva decompone la materia organica inerte come gli aghi di pino e trasforma i suoli morti in vivi (processo di umificazione – fabbricazione di humus a partire da materie organiche vegetali).

Le Falesie, un territorio preservato

 Falesie, ghiaioni e scarpate rocciose costituscono degli habitat davvero particolari che accolgono specie di grande valore in termini di patrimonio naturale.

Alla Riserva, questi ambienti naturali ospitano l’Aquila reale, il Grifone e l’Avvoltoio, il Falco pellegrino, il Gufo reale, per i quali le falesie rappresentano dei promontori naturali difficilmente accessibili all’uomo…

Ma non al camoscio, che trascorre qui l’inverno e la primavera.

Globalmente risparmiate, nel corso dei secoli, da importanti fenomeni distruttivi (incendi, disboscamento, sfruttamento eccessivo per pascoli e coltivazioni, caccia…)che altrove hanno condotto al diradarsi di numerose specie, le falesie costituiscono spesso l’ultimo rifugio per alcuni animali come il Fagiano di monte (Lyrurus tetrix). Specie assai sensibile al disiboscamento e al pascolamento intensivo che distrugge la vegezione bassa di cui ha bisogno, il Fagiano di monte è quasi scomparso dalla montagna di Bleine. Al momento, stiamo lavorando per rinforzare la presenza delle popolazioni rimanenti.