il ritorno del mondo selvaggio in francia Era ora che la Francia ritrovasse le sue specie perdute…

Oggi, 1.200 anni dopo la sua scomparsa dalle foreste della zona mediterranea, il più grande mammifero d’Europa è finalmente di ritorno. Il bisonte europeo trascorre nuovamente giorni felici nelle pianure e foreste di Thorenc.
Tra il 2005 e il 2006, Alena e Patrice Longour, veterinario, hanno portato in Francia due gruppi di magnifici esemplari di bisonte, trasferiti dal loro ultimo rifugio in Europa, la foresta di Bialowieza in Polonia. Contemporaneamente, Alena ha ottenuto diversi cavalli di Przewalski che vivevano negli zoo europei per liberarli nella Riserva. Questo piccolo ma vigoroso cavallo, spesso rappresentato sulle pareti delle grotte frequentate dagli uomini di Cro-Magnon, è il solo ad essere rimasto completamente selvaggio. L’uomo non è mai riuscito a domarlo!

La Riserva dei Monts d’Azur è l’unico posto in Europa dove il bisonte europeo e il cavallo di Przewalski vivono di nuovo insieme !

Queste due specie emblematiche che l’uomo aveva quasi fatto scomparire sono di nuovo riunite in un territorio che condividono con cervi, caprioli, camosci, cinghiali, volpi, lupi, linci e numerosi altri animali. Selvaggi e liberi!

Nessuno aveva mai osato organizzare una simile riunione prima d’ora. La Riserva lo ha fatto lanciando una scommessa che al giorno d’oggi è una delle esperienze ecologiche più eccitanti in Europa.

Le origini L’uomo e l’animale : un’alleanza eterna

Ci hanno spesso accusato di voler introdurre nel territorio della Riserva due animali, il bisonte europeo e il cavallo di Przewalski, che non avrebbero nessuna legittimità a vivere in Francia, ancor meno nelle Alpi Marittime. Il bisonte, ci viene detto, è un animale delle grandi foreste dell’Europa dell’Est, mentre il cavallo selvaggio sarebbe un abitante della steppa. Altri ancora sostengono che la biodiversità francese non abbia nulla da guadagnare dalla convivenza con queste due specie.

Educatamente e fermamente, a costoro rispondiamo che hanno doppiamente torto.

In primo luogo : basta guardare l’arte parietale per constatare che il bisonte e il cavallo di Przewalski erano assidui frequentatori delle nostre regioni, ancora fino a non molto tempo fa. Se storicamente hanno poi trovato rifugio in ambienti più estremi, è solo perché sono stati spinti a farlo per forza di cose. Di fatto: per sfuggire alla pressione esercitata dagli uomini.

In secondo luogo : le grandi specie erbivore sono importantissime per dinamizzare gli ambienti e far aumentare in modo spettacolare la loro relienza, cosa sempre ottima per la biodiversità.

Ma torniamo un po’ indietro nel tempo per capire bene quanto la storia dell’umanità è strettamente legata a quella degli animali e quanto serebbe pericoloso rompere questo legame.

La caccia di sussistenza per sopravvivere durante l’era glaciale

Fin dalla loro comparsa, gli uomini si sono sempre nutriti di carcasse di animali oppure dei bottini di caccia. A Tautavel, i resti più antichi indicano che gli uomini cacciavano le renne già 550 000 anni fa…

Cinquecentomila anni dopo, l’Homo sapiens arriva in Europa in piena era glaciale. Conquista progressivamente tutta l’Europa occidentale. Per sopravvivere deve darsi alla caccia, come l’uomo di Neandertal, con il quale convive. Mammuth e rinoceronti lanosi, megaloceri (cervi giganti), orsi delle caverne, pantere ma anche già la renna, il cavallo selvaggio e il bisonte della steppa, antenato del bisonte di oggi, sono le prede più ricercate. A quest’epoca, la fauna è dunque molto diversa da quella che conosciamo oggi*¹.

Quando l’era glaciale finisce, 30 000 anni dopo, le grandi distese di steppa e di tundra lasciano il posto a immense foreste di pini e di betulle. La fauna subisce una totale trasformazione.

*1 : Françoise Delpech – L’environnement animal des Européens au Paléolithique supérieur

Sparizioni e migrazioni

Centinaia di specie scompaiono definitivamente, come il mammuth e il rinoceronte lanoso, l’orso e la iena delle caverne, i megaloceri… Altri migrano verso sud come l’asino selvaggio d’Europa e la pantera, o verso nord come la renna, il bue muschiato, l’antilope saiga, la volpe polare e probabilmente il cavallo di Przewalski (Equus férus przewalskii).

La maggior parte di essi, però, rimane e trova nell’attuale Europa occidentale e centrale le condizioni favorevoli allo sviluppo. Cinghiali, cervi, alci, caprioli, stambecchi, camosci, uri cominciano allora a dividersi il territorio con un nuovo arrivato, il bisonte europeo (Bison bonasus), comparso circa 12 000 anni prima di Cristo.

Forse più prudente dell’uomo di Neandertal*², l’uomo di Cro-Magnon sembra aver diversificato le sue prede, includendo gli ungulati di piccole dimensioni come lo stambecco e il camoscio o piccola selvaggina. Tuttavia, non abbandona del tutto i grandi ungulati. E le mandrie di renne o di cavalli selvaggi forniscono grandi quantità di carne. Le tecniche di caccia dell’uomo di Neardental vengono riprese, gli strumenti migliorati. Intorno al 10 000 a.C. compaiono in Europa i primi archi con le frecce.

*2 : Jean-Jacques Hublin – Max Plank Institute

Quando la caccia lascia progressivamente il posto all’allevamento…

La prima grande rivoluzione nel rapporto Uomo-Animale arriva dall’Artico, dove i cacciatori-coglitori nomadi riescono, intorno al 12 000 a.C., ad addomesticare il lupo. Quest’ultimo diventa subito un prezioso aiutante per il cacciatore in cerca di cibo. Fino al neolitico (che inizia intorno al 9 000 a.C. in Medio Oriente), le popolazioni umane sono essenzialmente composte da cacciatori-coglitori nomadi. La loro sopravvivenza dipende direttamente dalla presenza di mandrie di erbivori. È obbligatorio seguire le migrazioni e cacciare. La sedentarizzazione è destinata a cambiare questo rapporto con gli animali.

Verso il 10 000 a.C., intorno al delta del Nilo e dei grandi fiumi della Mesopotamia, l’uomo di Cro-Magnon trova le condizioni favorevoli all’insediamento di lunga durata.

Per via della pressione esercitata dall’uomo, la fauna selvaggia non ha alternative se non penetrare ulteriormente nelle foreste rimanenti o fuggire

I terreni debbiati e lo sradicamento comportano l’estendersi di radure. Le bordure sono dedicate al pascolo degli animali appena addomesticati. Sotto questa pressione, la fauna selvaggia non ha alternative se non penetrare ulteriormente nelle foreste rimanenti o fuggire verso il nord del continente, dove l’uomo è ancora poco presente.

Quando l’allevamento conduce alla scomparsa degli ungulati selvaggi

Quando, intorno al 3 000 a.C., la Rivoluzione neolitica raggiunge tutta l’Europa, la maggior parte dei grandi ungulati (bisonte europeo, uro, alce, cervo, cavallo selvaggio) è ancora presente in buon numero.

Solo l’asino selvaggio (Equus hydruntinus) è notevolmente diminuito, ed è ora presente soltanto in Europa meridionale e in Medio Oriente.

Duemila anni dopo, il paesaggio naturale viene sconvolto in maniera davvero profonda. L’intensificazione dell’agricoltura e dell’allevamento contribuisce fin dall’Antichità (2 000 a.C.) allo sbriciolamento delle immense foreste primarie che erano emerse dopo il periodo glaciale. I dissodamenti massicci continuano fino alla fine del Medio Evo (1 500 a.C.).

Alla fine del IX secolo, la foresta primaria francese resiste ancora nelle Ardenne e nei Vosgi, ospitando gli ultimi bisonti e gli uri.

All’inizio del XVII secolo, la foresta primaria europea persiste solo, in maniera significativa, in Polonia e in Bielorussia. La foresta di Bialowieza, che si estende ancora su 2500/3 000 km², sarà l’ultimo rifugio europeo dei grandi erbivori: tarpan, bisonte, uro, alce.

La grande fauna ha pagato, in Europa, un pesante tributo allo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento

In conclusione, la grande fauna ha pagato, in Europa, un pesante tributo allo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento. Contrariamente al continente africano, le grandi specie di animali sono ben presto considerate alla stregua di concorrenti da eliminare.

Tre grandi specie spariscono definitivamente : l’asino selvaggio nel XV secolo, l’uro nel XVII e, in Polonia, il tarpan nel XVIII. Altre tre sfiorano l’estinzione: il bisonte europeo, il cavallo di Przewalski e l’orso bruno. Ormai di questi esemplari rimangono solo pochi rappresentanti, spesso sparsi in zone scarsamente popolate.

la grande fauna Gli obiettivi perseguiti dall’équipe scientifica

Dalla scomparsa programmata…

L’Europa ha perso definitivamente tre delle sue cinque specie di grandi ungulati : l’uro, il tarpan e l’asino selvaggio, mentre il bisonte è presente in aree molto limitate (Polonia, Bielorussia e forse Caucaso). Solo l’alce ha ancora il privilegio di poter percorrere vaste distese in Scandinavia e in Russia.

Per le specie più piccole, cervo, camoscio, capriolo, stambecco e persino cinghiale, la situazione non era affatto migliore in Francia, prima del 1950.

…Al ritorno dei piccoli ungulati

In tempi più recenti, l’abbandono delle attività agricole ha favorito l’estensione della foresta e il ritorno di questi erbivori e dei loro predatori, in particolare nei massicci montagnosi.

Secondo le stime dell’Ufficio Nazionale della Caccia e della Fauna Selvaggia, 70 000 camosci, 30 000 camosci pirenaici e 8 000 stambecchi popolano i parchi montani francesi e 150 000 cervi l’insieme di tutte le foreste del Paese, peraltro con grosse disparità da regione a regione.

Se possiamo rallegrarci di questa rimonta degli effettivi, resta comunque il fatto che la Francia possiede spazi naturali in grado di accogliere una popolazione di cervi forse superiore al milione (Fonte: La lettre de Forêts sauvages – G. Cochet – Octobre 2008).

Quanto alle popolazioni di camosci, stambecchi e mufloni, il loro numero potrebbe raddoppiare   senza difficoltà nei parchi nazionali se queste specie non subissero la concorrenza sleale degli allevamenti domestici.

La fauna, una risorsa nonostante tutto dimenticata !

La fauna rimane una risorsa dimenticata dalle autorità, in Francia come nella maggior parte dei Paesi europei. Non esistono progetti di grande portata finalizzati al suo inserimento nelle politiche di gestione del territorio. Il suo statuto giuridico è indefinito e la sua “gestione” è in mano a un insieme di attori dagli interessi contrastanti: cacciatori, agricoltori, personale forestiero o ecologisti. Eppure la fauna occupa un posto di primo piano, essendo indispensabile per garantire una buona dinamica degli spazi naturali.

Non esistono progetti di grande portata per inserire la fauna nelle politiche di gestione del territorio.