Daniel Madeleineguida naturalista, ideatore del « Gruppo Lupo Francia » e membro del consiglio d’amministrazione di Ferus

« Naturalista da sempre, appassionato di fauna selvaggia e militante convinto per la causa di una migliore coabitazione degli uomini con questo tesoro naturale unico, sono giunto quasi d’istinto alla riserva, situata non lontano da casa mia.

 

La Riserva Biologica dei Monts d’Azur non ha nulla a che vedere con gli zoo e gli altri spazi animalistici tradizionali.

 

La sua superficie, la bellezza del luogo e i suoi paesaggi, la conservazione di diversi habitat naturali e la loro originale biodiversità, le specie presenti sul sito, la qualità dell’accoglienza, la personalità del suo ideatore, le scelte e lo spirito che hanno guidato la sua creazione sono altrettanti argomenti che concorrono a rendere unico questo luogo.

Oggi in Francia la fauna selvaggia autoctona è o sfruttata per la caccia o vissuta come una costrizione insopportabile oppure, nel migliore dei casi, del tutto ignorata dai nostri concittadini.

Poche persone sono consapevoli della formidabile risorsa economica che la natura selvaggia può rappresentare.

Patrice Longour e i membri della sua associazione hanno saputo realizzare un progetto al contempo naturalista, audace, pedagogico, rispettoso degli ecosistemi naturali già presenti e valido da un punto di vista economico.

Il punto di forza di questo progetto è di aver riportato, ovvero reintrodotto nei luoghi in cui già vivevano in passato, stando ai disegni rupestri rinvenuti nella regione, due specie altamente emblematiche: il cavallo di Przewalski e il bisonte europeo. Un altro punto di forza è quello di essere riuscito, pur partecipando a un programma mondiale di salvaguardia, a reintegrarli nei loro biotopi naturali con delicatezza, limitando al massimo gli interventi umani così da ricongiungerli il più naturalmente possibile al corteo di specie già presenti nella Riserva: fagiani di monte, camosci, grifoni e avvoltoi monaci, aquile reali, volpi, cervi, caprioli, cinghiali, tassi, martore, arvicole acquatiche… e di apportare le loro complementarità.

Militante convinto della necessità di preservare la biodiversità anche attraverso l’educazione, dopo aver fatto visitare la Riserva a diversi gruppi di persone, tra cui gruppi di studenti, mi è bastato ascoltare i loro commenti e guardare i loro occhi pieni di meraviglia per capire che le scelte che sono state fatte sono quelle giuste.

Vincere la battaglia di una coabitazione pacifica con il mondo vivente e in particolare con le specie più inclini a perturbare alcuni degli interessi che abbiamo in quanto esseri umani, significa vincere una battaglia determinante rispetto all’eredità che lasceremo ai nostri figli. »

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Jacques Deschamp Istituto Desanti, Scuola Normale Superiore di Lione

« UN’ESPERIENZA FILOSOFICA AI MONTS D’AZUR (ESTATE 2012) »

« Vorrei raccontarvi l’esperienza che ho vissuto in occasione di un soggiorno alla Riserva dei Monts d’Azur, un incontro per me del tutto inedito con il mondo animale, di cui ancora non riesco a spiegarmi il fondo. Incontro con un genere molto singolare di presenza animale che rinvia, paradossalmente ma serenamente, all’assenza dell’uomo in sé, a qualche cosa che fa sì che ci si manca a se stessi e nella quale ha forse origine buona parte del malessere che caratterizza la condizione umana, e che avrebbe a che vedere più generalmente con ciò che Freud ha definito il  «malessere nel mondo civile».

Non ci è dato sapere cosa potrebbe significare «pensare» per un animale, e ancor meno rapportare questo pensiero ai modi di pensare umani, poiché non sappiamo veramente ciò che sente l’animale, come diceva Cartesio. Per l’essere umano, pensare corrisponde a un modo di esistere che tocca tutto ciò che è, pensare fa parte dell’essenza umana, per dirlo con parole prese in prestito alla filosofia classica (ancora secondo Cartesio, siamo delle «sostanze pensanti»). Ma per l’animale, il pensiero è forse solo una particolare modalità d’azione, un modo di rapportarsi al proprio ambiente caratterizzato da una moltitudine di scarti minimi che modificano i suoi mondi percettivi, come spiega J. von Uexküll (Ambienti animali e ambienti umani), ponendogli dunque dei problemi inediti. In tal senso, l’uomo e l’animale partecipano di una stessa genesi nel corso della quale gli aspetti psichici si svilupano soltanto a partire dal momento in cui le funzioni vitali non bastano più a risolvere i problemi che si pongono agli esseri viventi, la cui energia mira interamente ad assicurare la conservazione e la riproduzione.

« È possibile che gli animali pensino »

È possibile che gli animali pensino, o, per evitare un termine troppo pesante per le sue molteplici implicazioni possibili, che possano trovarsi in situazioni psichiche che li portano a produrre atti di pensiero.

Non ha senso, dunque, tentare di dimostrare ad ogni costo che gli animali « pensano » – nella filosofia classica, la questione torna sempre a essere sollevata per dimostrare, infine, che c’è una differenza essenziale tra l’uomo e l’animale, ossia per definire ciò che è umano nell’essere umano. La questione è quella dell’uomo ma mai quella della sua animalità, cioè non si evoca mai la questione di sapere di quale animalità è fatta l’umanità.

Quando si pone la questione dei rapporti tra l’uomo e l’animale, i termini nei quali poniamo l’interrogativo rimandano sempre a nozioni morali e metafisiche. Ma se ci atteniamo alle scienze della vita e a ciò che ci insegna la psicologia del comportamento, la sola cosa di cui possiamo essere certi è che nulla permette di escludere a priori l’ipotesi che ogni essere, dal momento in cui è vivo, possa accedere al pensiero e sviluppare un universo psichico complesso.

Non sappiamo cosa può un corpo, diceva Spinoza. E, allo stesso modo, non possiamo prevedere quel che un essere può dal momento in cui è vivo, quel che può fare e con cosa può entrare in relazione. Rapportata all’anima umana, l’ipotesi metafisica (termine che qui ingloba ciò che viene classificato sotto le denominazioni del religioso e del mistico) di un’anima animale, e persino di un’anima vegetale, rimanda all’idea di un’essenza comune. Non c’è una concezione differenziale dell’anima, ma è dal corpo e dalle sue funzioni che si possono dedurre alcune differenze tra i modi di vivere di un’anima incarnata in un corpo umano oppure animale oppure ancora vegetale. La questione non è dunque tanto di sapere cosa distingue l’uomo e l’animale quanto di sapere ciò che differenzia lo psichico e il vitale.

La filosofia inizia con l’atto socratico che consiste a fondare l’eminente dignità dell’uomo sulla «differenza antropologica», distinguendo intelligenza e istinto e opponendo il principio vitale degli uomini a quello degli esseri viventi (animali e vegetali). Socrate oppone l’intelligenza all’istinto, e Nietzsche dirà che a partire da Socrate l’istinto è giudicato dall’intelligenza. In questo abbassamento del corpo a vantaggio dell’anima si origina un umanismo che per noi è ancora valido e per il quale l’uomo è una realtà del tutto singolare non paragonabile a nessun’altra nella natura (la phusis). Ma da questa differenza di natura posta tra l’istinto degli animali e l’intelligenza umana deriva soprattutto una conseguenza della quale subiamo ancora gli effetti poiché si è radicata in fondo ai nostri modi di pensare : l’animale sarà ormai considerato attraverso l’uomo nella misura in cui la realtà umana diventa il modello compiuto di ogni forma d’essere.

Nel testo più «scientifico» di Platone, il Timeo, si assiste così alla creazione di specie animali secondo una degradazione progressiva a partire dall’uomo, come una sorta di teoria dell’evoluzione al contrario. E anche in quel che possiamo chiamare il «naturalismo» aristotelico, fondato sull’equivalenza tra le funzioni umane, animali e vegetali, dato che l’uomo condivide con gli animali lo stesso tipo di sensorialità, d’immaginazione, di memoria se non perfino di desiderio (non essendo la specie umana diversa nella sua natura dalle specie animali), la differenza rimane in ciò che fa la superiorità dell’uomo: la facoltà di pensiero (to logistikon) e la capacità di scegliere liberamente (to prairésis), o capacità di optare per ciò che è logicamente preferibile.

È proprio questo costrutto culturale, sul quale poggia tanto la rappresentazione che abbiamo di noi stessi quanto la nostra capacità a organizzare i nostri rapporti con il mondo, che si è trovato letteralmente decostruito nella semplice esposizione di un’animalità resa a se stessa.

La «visita» a piedi degli animali appartiene ad un registro che ci lascia ancora in questa esteriorità dell’umanità all’animalità, anche se l’approccio regolato e rispettoso dei bisonti europei o dei cavalli di Przewalsky vale come uno «spettacolo» la cui intensità emozionale sembra avvertire che si tratta di ben altro che di una semplice zoografia senza griglie né gabbie, tanto impressionante quanto possa essere in sé.

« L’animale e il vegetale co-esistono, esistono l’uno attraverso l’altro »

È un momento del tutto inatteso, l’irruzione di una sorta di scenografia immanente del vivente, che entrerà con forza nel dispositivo mentale in cui l’animale è visto sempre attraverso l’uomo. Al calar del giorno, si scopre la vasta prateria che occupa gran parte della tenuta, occupata (nel senso stretto del termine, cioè insieme abitata e disposta ad un’attività che anima ogni cosa) da ciò che appare allora come l’insieme della popolazione animale del luogo, comprese le specie commensali scese dalla foresta e dai monti circostanti. Bisonti e cavalli, imponenti cervi, cinghiali, volpi, ecc., tutti disposti, senza un ordine apparente, secondo un modo caratteristico di occupazione dello spazio in cui l’animale e il vegetale co-esistono, esistono l’uno attraverso l’altro, secondo un registro enigmatico del quale dire che esso rappresenta un modo immemoriale di appartenenza ad un modo comune rimane solo una vaga approssimazione.

« Un insieme di incanto e di stupore »

L’enigma risiede nella natura del registro sensoriale nel quale ci immerge la semplice vista di quel che è così mostrato. Un insieme di incanto e di stupore (sensazioni che rinviano a una stessa maniera di venire sottratti a se stessi) che si esprime in un genere di emotività troppo complesso, o trappo poco abituale, per essere descritta chiaramente, ma in cui la sensazione di una pace interiore profonda sembra palesare in un unico accordo il sereno e la pena.

Che lo spettacolo di un’animalità resituita a se stessa possa così ispirarci serenamente una forma di accordo con il proprio sé è ancora concepible. Rimane però questo vago sentimento di pena, quasi di attrizione (come il rimpianto indefinibile di aver commesso un errore per il quale bisognerà pagare) che è difficile spiegare. E che sembra sprofondare troppo negli oscuri fondali ricoperti dalla chiara coscienza, per essere solo l’effetto un po’ ridicolo di una sensibilità leziosa nella quale amiamo rifugiarci per non dover pensare.

« Questo spettacolo è ciò che i nostri antenati hanno avuto quotidianamente sotto gli occhi »

Non ho qui a disposizione nessun insegnamento teorico da dare. Tranne forse un’indicazione presente in una riflessione fatta da una delle persone appartenenti alla squadra di lavoro della Riserva, che ha detto semplicemente : «questo spettacolo è ciò che i nostri antenati hanno avuto quotidianamente sotto gli occhi per decine di migliaia di anni. È ciò che vedevano tutti i giorni!».

Come se, in questo momento di pienezza apparisse per contrasto il vuoto senza possibilità d’appello dei paesaggi che costituiscono oggi il nostro mondo abituale. Questo mondo nel quale l’umanità si è costituita negando tutto ciò che non le apparteneva, a cominciare dal selvaggio, animale e vegetale (da sylvus, che fa riferimento alla foresta, in opposizione alla civiltà), questo mondo è una cornice vuota, senza altro sfondo se non i riflessi vanitosi della nostra potenza, cioè della nostra capacità di distruzione – di cui si può misurare la follia agonistica rammentando che il numero di lupi uccisi dall’uomo nell’emisfero nord, dal Medio Evo ai giorni nostri, è stimato a diversi milioni (!).

Un mondo il cui vuoto acquista il suo vero significato solo se si pensa ad un altro vuoto per noi più profondo, ad un’assenza, una mancanza. Quella di un’animalità dalla quale la nostra umanità si è staccata circa 30.000 anni fa, la nostra parte animale, il nostro «divenire-animale» (G. Deleuze) presente in noi come assenza.

Esistono forse molte obiezioni possibili a un’idea simile. Ma mi sembra difficile non considerare che una gran parte della ferocia « selvaggia » che esprimiamo nel nostro rapporto con il mondo (la distruzione consumistica), ferocia anche dell’uomo contro l’uomo (la guerre come forma universale di violenza) e contro se stesso (la follia), possa trovare un’origine profonda in quest’atto originario attraverso il quale l’umanità si è accomodata dentro se stessa lasciando fuori di sé la parte di animalità dalla quale è nata. Quando una forza è tagliata da ciò che può, afferma Nietzsche, si rivolta contro se stessa per agire in vista del suo stesso annientamento. Gli uomini preferiscono volere il nulla piuttosto che non volere nulla, Nietzsche chiama questa inversione dei valori il «nichilismo», o desiderio del nulla.

Il soggiorno alla Riserva dei Mont d’Azur lascia aperta per ciascuno la possibilità di vivere l’esperienza «sensazionale» di un modo di vita, all’incrocio tra «vivente» (nel senso di organizzazione della materia) e «vissuto» (nel senso di esperienza degli esseri umani), per cui il nichilismo non sarebbe una fatalità. »

Jean-François Noblet

« Spinto dall’interesse per il ripristino della fauna francese originaria, sono venuto a visitare la Riserva dei Monts d’Azur e a incontrare il suo fondatore, Patrice Longour. È raro trovare parchi con animali di una tale superficie, valorizzati da un paesaggio eccezionale e da una grande varietà di habitat naturali. Lasciandomi sedurre dalla possibilità di osservare i bisonti e i cavalli di Przewalski qui reintrodotti, ho spesso alloggiato sul posto e ho potuto osservare e anche fotografare una fauna selvaggia molto varia (arvicola acquatica, aquila reale, beccaccini, lodolaio, ecc ). Auguro dunque un grande successo a questo progetto turistico in sintonia con la natura, ambizioso e esemplare.»

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